Addio al regista, sceneggiatore e critico cinematografico francese, Bertrand Tavernier, acclamato autore di film intimisti che mettono al centro del racconto gli scontri ma anche gli slanci affettivi nei rapporti familiari e creano torbide atmosfere. E’ morto oggi all’età di 79 anni a Sainte-Maxime dans le Var, come hanno annunciato la moglie Sarah e i figli e l’Institut Lumière, di cui Tavernier era presidente. Al Festival di Berlino ha vinto il Premio speciale della giuria per “L’orologiaio di Saint-Paul” (1974) e l’Orso d’oro per “L’esca” (1995), al Festival di Cannes il premio come migliore regista “Una domenica in campagna” (1984); ha inoltre ricevuto cinque Prix César. Nato a Lione il 25 aprile 1941, Tavernier si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza ma dopo solo un anno l’abbandonò per dedicarsi al cinema. Lavorò come addetto stampa (1961-1972) e dal 1963 come critico cinematografico per “Positif”, i “Cahiers du cinéma” e “Cinéma”: in quest’ultima veste della cinematografia statunitense lodò soprattutto il western e il noir e, tra gli autori francesi, quelli che prediligevano le forme tradizionali nel racconto (Claude Autant-Lara, Christian-Jaque, Jean Grémillon, Jean Delannoy, René Clément), bollati dai critici della Nouvelle Vague come esponenti del “cinéma de papa”.
Tavernier debuttò dietro la macchina da presa con due episodi di film collettivi, “Una voglia matta di donna” (1963) e “L’amore e la chance” (1964), ma tornò poi all’attività critica. Nel 1974 realizzò il suo primo lungometraggio, “L’orologiaio di Saint-Paul”, che segnò l’inizio di un lungo e proficuo sodalizio con Philippe Noiret, ma anche della collaborazione con gli sceneggiatori Jean Aurenche e Pierre Bost. Ambientato nella città natale del regista, il film offre uno spaccato della provincia francese, sul cui sfondo viene disegnato con estrema partecipazione il dramma di un orologiaio che vede andare in frantumi la sua tranquilla quotidianità dopo l’arresto del figlio. Successivamente Tavernier ha proposto riletture di varie epoche storiche: il primo Settecento (“Che la festa cominci” del 1975), la fine dell’Ottocento (“Il giudice e l’assassino” del 1976), il Senegal degli anni Trenta (“Colpo di spugna” del 1981), i primi decenni del Novecento (“Una domenica in campagna del 1984) in cui sono evidenti i richiami alla pittura di Monet e Renoir, il Medioevo (“Il quarto comandamento” del 1987), gli ultimi mesi della Prima guerra mondiale (“Capitan Conan” del 1996) e quelli successivi (“La vita e nient’altro” del 1989); e infine la Parigi del 1942 occupata dai tedeschi in “Laissez-passer” (2001). Con il suo cinema Tavernier ha esplorato i sentimenti e i conflitti tra i personaggi, in storie racchiuse in uno spazio ben più circoscritto e quasi sempre domestico: “I miei vicini sono simpatici” del 1977, “La morte in diretta” del 1980, “Una settimana di vacanze” del 1980 e “Ricomincia da oggi” del 1999. Tra questi film emerge “Daddy nostalgie” (1990), uno dei film più intensi del regista, cupo, pudico ed emozionante nel ritrarre i sentimenti di una figlia che si riavvicina al padre dopo aver saputo che questi è malato.
avernier ha diretto anche un reportage documentario sulla musica blues (“Mississippi blues”, 1984, con Robert Parrish) e un omaggio al jazz con “Round midnight – A mezzanotte circa” (1986), ambientato nella Parigi di fine anni ’50 incentrato sul rapporto tra un giovane disegnatore e un sassofonista di colore pieno di talento ma alcoolizzato. Tavernier ha inoltre realizzato “Legge 627” (1992), dramma poliziesco, ed “Eloise la figlia di D’Artagnan” (1994), omaggio al genere cappa e spada. (AdnKronos)